La seconda ondata
I numeri della pandemia di Covid-19 sono ormai impressionanti. Alla fine dell’estate 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) registrava su scala planetaria – come abbiamo visto in un precedente articolo – circa 31 milioni di contagi e quasi 1 milione di morti. Oggi, 10 gennaio 2021, le persone che hanno contratto il virus sono diventate quasi il triplo: 88 milioni e 120.000. I morti sono circa il doppio: poco meno di 2 milioni. Gli Stati Uniti continuano a essere il paese con il maggior numero assoluto di contagi (21.761.186). Seguono – per fermarci ai primi 10 – l’India (10.450.284), il Brasile (8.013.708), la Federazione Russa (3.379.103), il Regno Unito (2.957.476), la Francia (2.701.658), l’Italia (2.237.890), la Spagna (2.025.560), la Germania (1.891.581) e la Colombia (1.755.568). Cambia di poco la graduatoria dei paesi con il maggior numero assoluto di morti. Rimangono infatti stabilmente in prima posizione gli Stati Uniti (365.886), seguiti da Brasile (201.460), India (150.999), Messico (132.069, a fronte di 1.507.931 contagi), Regno Unito (79.833), Italia (77.911), Francia (67.049), Federazione Russa (61.381), Iran (56.100, a fronte di 1.280.438 contagi) e Spagna (51.690).
Nella maggior parte dei casi la curva della pandemia è schizzata nuovamente verso l’alto a partire dal mese di ottobre, dopo un relativo appiattimento nel corso dell’estate. Si è prodotta, insomma, una vera e propria «seconda ondata» pandemica, da molti temuta e da altri sottovalutata, che si è abbattuta come un uragano su paesi, società e persone già molto provate. Le conseguenze sono ben note: rinnovata pressione sulle strutture sanitarie, lockdown parziali o totali nei paesi più colpiti (compresi Germania e Regno Unito), economie in ginocchio, stime del Pil in caduta libera, disoccupazione dilagante, scuole e università chiuse o semichiuse, governi con il fiato corto, disagio crescente sul piano sociale e anche psicologico. In breve: una crisi di enormi proporzioni, che sta facendo vacillare i pilastri della vita individuale e associata, con effetti al momento ancora imprevedibili.
La lezione della «seconda ondata» è stata sonora. Essa ha mostrato che le pur fondamentali pratiche del distanziamento sociale, le mascherine, l’igiene delle mani e l’indubbio affinamento delle terapie mediche non sono affatto sufficienti per ripristinare un quadro di accettabile «normalità», quanto meno a fronte della persistente circolazione del virus e delle sue mutazioni (oggi sotto particolare osservazione le varianti «inglese» e «sudafricana»).
Qualcosa però, in prospettiva, sta cambiando con l’arrivo dei primi vaccini anti-Covid. Non è ancora la cura vera e propria, beninteso. Ma qualcosa che potrebbe evitarne o almeno limitarne considerevolmente la necessità, dando finalmente luogo alla cosiddetta «immunità di gregge». Si comincia così a intravedere una sia pur debole luce al fondo del tunnel in cui siamo precipitati. Nel contempo, però, si inizia anche a prendere coscienza, da un lato, delle enormi difficoltà con cui dovranno confrontarsi, nei singoli paesi, i piani di vaccinazione di massa e, dall’altro, dei tempi ancora molto lunghi necessari a implementarli in modo efficace.
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