Il 20 gennaio 2021 il democratico Joe Biden è entrato ufficialmente in carica come 46° Presidente degli Stati Uniti d’America, subentrando al repubblicano Donald Trump. L’avvicendamento al potere dei due Presidenti è stato estremamente complicato e turbolento. Non soltanto per la complessità delle regole che governano le elezioni presidenziali americane, rese in questo frangente ancor più ingarbugliate dalla pandemia di Covid-19 e da un ricorso massiccio al «voto anticipato» e al «voto postale», particolarmente esposti al rischio contestazioni. Ma anche e soprattutto perché il Presidente in carica, nonostante il verdetto delle urne, si è rifiutato fin dal principio di riconoscere la vittoria del suo competitor.
Per oltre due mesi, infatti, egli ha continuato a evocare senza sosta lo spettro di elezioni «truccate» e «rubate». Ha minacciato spettacolari azioni legali e fatto scendere in campo – senza successo – i suoi avvocati, a partire dal più celebre di tutti, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani. Ha anche esercitato indebite pressioni sui governi di alcuni Stati repubblicani per annullare migliaia di schede a favore di Biden. Infine, con i suoi ripetuti appelli al «popolo», specialmente attraverso i social, ha fomentato e in ampia misura legittimato, prima dell’insediamento ufficiale del suo successore, un vero e proprio assalto alla sede del Congresso americano che ne stava ratificando l’elezione. In quel tumulto – che il 6 gennaio 2021 ha mobilitato migliaia di suoi sostenitori e che secondo i suoi accusatori il Presidente in persona avrebbe addirittura «premeditato» – hanno perso la vita cinque persone. Qualche giorno più tardi, ancor prima di disertare irritualmente la cerimonia di insediamento di Biden, Trump si è visto «bannare» i propri account su Twitter e Facebook. Un trattamento che, nell’era della comunicazione politica via social, ha messo a tacere il Presidente ancora in carica della più grande potenza del mondo.
Questi fatti gravissimi – in primo luogo naturalmente l’attacco al Campidoglio, senza precedenti nella storia degli Stati Uniti – non sembrerebbero aver prodotto per il momento conseguenze politiche di particolare rilievo, a parte l’avvio di una procedura di impeachment a carico di Trump, conclusasi peraltro il 13 febbraio con la sua assoluzione. Ma hanno inflitto una ferita profonda, se non alla sostanza, certo all’immagine della democrazia americana nel mondo. Al tempo stesso, hanno mostrato con grande chiarezza quali potenziali pericoli si annidino nei «populismi» del nostro tempo, di cui Trump è stato – e promette di essere ancora – uno dei principali campioni.
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO QUI