Uno sguardo d’insieme

Nell’arco di settant’anni la popolazione mondiale è più che triplicata. Nel 1950 gli abitanti del pianeta erano poco più di 2 miliardi e mezzo. Oggi sono quasi 8 miliardi. Nel 2050, secondo le stime delle Nazioni Unite, saranno poco meno di 10 miliardi, quattro volte la popolazione di cent’anni prima, e nel 2100 circa 10 miliardi e mezzo, con un significativo rallentamento della crescita complessiva a partire dalla seconda metà del secolo.
Almeno in prima battuta, questi dati grossolani ci dicono che viviamo ormai in un «pianeta stretto», come recita il titolo di un bellissimo libro pubblicato qualche anno or sono da uno dei più autorevoli demografi italiani, Massimo Livi Bacci (Il Mulino, Bologna 2015). Ci dicono, cioè, che viviamo in un mondo in cui gli spazi e le risorse a disposizione del genere umano si stanno significativamente riducendo.
Le implicazioni di questo crudo dato di fatto sono allarmanti. Se infatti è più che probabile che tra qualche decennio la crescita della popolazione mondiale inizierà a rallentare, proiettandoci forse in un mondo a crescita zero o in aperta decrescita, è altrettanto vero – come ha scritto Livi Bacci – che saremo presto costretti a «preoccuparci dei tre o quattro miliardi di persone in più che dovremo accogliere sul pianeta, nutrire, vestire, alloggiare, istruire e avviare al lavoro prima della fine del secolo. E che avranno un notevole impatto sull’ambiente». Si tratta di una sfida colossale, per molti aspetti paragonabile a quella altrettanto poderosa e difficilmente gestibile del cambiamento climatico. Strettamente intrecciate tra loro, entrambe mettono infatti a rischio il principio e le pratiche della «sostenibilità» e il suo governo su scala planetaria.
Dietro l’immagine del «pianeta stretto», tuttavia, si nascondono differenze e squilibri profondi tra le diverse aree del mondo. Alcune di esse, di regola le meno sviluppate, sono infatti ancora segnate da una crescita demografica impetuosa, che rende sempre più problematica la distribuzione di risorse decisamente scarse. Altre invece, di regola le più sviluppate, stanno sperimentando una decrescita significativa che, insieme a un generale un invecchiamento della popolazione, le rende sempre più fragili. È da questi squilibri che traggono alimento i grandi flussi migratori del nostro tempo, il cui governo su scala globale incontra ostacoli crescenti e talora insormontabili, quasi sempre al prezzo profonde tensioni.
È dunque da questi squilibri che occorre partire. Avendo ben chiaro che la demografia, ben più della cronaca giorno per giorno, gioca un ruolo silenzioso ma cruciale per il futuro stesso della vita sul pianeta.